All’alba di domenica 26 Febbraio, a largo delle coste calabresi di Cutro, un barcone colmo di profughi afgani, siriani ed iracheni è affondato a seguito del capovolgimento dell’imbarcazione in balia del mare forza 4.
Sono più di 60 i morti accertati, elevato è il numero di feriti. Nelle ultime ore è parso chiaro di trovarsi di fronte ad una tragedia annunciata oltre che evitabile, come ricostruito chiaramente nell’articolo di Dario del Porto ed Alessandra Ziniti.
Le basi sulle quali poggia l’inchiesta trovano fondamenta nella differenza tra law enforcement e il SAR, search and rescue. Agire in nome del primo significa mettere in pratica attività governative di protezione delle leggi e norme della società, in questo caso la difesa dei confini nazionali; con il SAR si indicano un insieme di operazioni di salvataggio condotte da personale addestrato a tale scopo e all’impiego di specifici mezzi navali, aerei o terrestri volti alla salvaguardia della vita umana in particolari situazioni di pericolo e ambienti ostili.
Lo snodo della vicenda si trova proprio qua. A seguito dell’avvistamento del barcone, alle 21:26 di sabato sera, da Roma viene deciso di inviare due mezzi della Guardia di Finanza atte alla “repressione reati”, rispetto alle più attrezzate motovedette della Guardia Costiera. Davanti alla forza del mare la Guardia di Finanza torna indietro, lasciando il barcone in balia del mare per altre 7 ore, fino al naufragio avvenuto a poche centinaia di metri dalla costa.
Si doveva salvare
E’ una storia che si ripete. I naufraghi di barche non idonee a tratte simili giungono alle nostre orecchie in modo tristemente frequente. A Cutro c’è però una storia diversa dalle altre, dove la disumanità ha fatto da protagonista sul finire di Febbraio. Ecco come appare il manifesto politico scelto dal Governo per il proprio mandato: una spietata barbaria messa in pratica da atti di efferata crudeltà.
Il susseguirsi della recita degli “aiuti a casa loro” fino alla “difesa dei confini nazionali” ha permesso che questa convinzione divenisse un esile e ristretto dito, impedendo agli stessi promulgatori di nascondersi dietro di esso, mostrando senza remore una crudeltà senza confini.
Può un barcone colmo di profughi rappresentare una minaccia per lo Stato italiano, tanto da rendere necessaria la privazione dei dovuti soccorsi a sostegno del “principio di precauzione”? Anche appellandosi non al caso singolo ma alla quantità, è difficile credere che questi figurino come un rischio alla salvaguardia dello Stato.

E’ giusto parlare di tragedia voluta, perché si poteva salvare. Si doveva salvare. Dal “carico residuale” passando per il decreto legge 1/2023 recante disposizioni per ridurre le capacità di soccorso in mare, ogni passo compiuto da questa Destra volge sempre più alla desensibilizzazione dell’essere umano.
Disuguaglianze
Ciò che figura pare ricoprire le vesti di “impossibilità del pensiero”, di inadeguatezza della persona, o perlomeno di questo molti si augurano per non giocare prontamente la carta della crudeltà travestita da insensibilità.
Affermare che «chi scappa da una guerra non deve affidarsi a scafisti senza scrupoli, devono essere politiche responsabili e solidali degli stati a offrire la via d’uscita al loro dramma» è esaustivo del paradosso in cui ci troviamo.
Il mancato intervento di salvataggio del più recente barcone riflette la totale incapacità di comprensione del dramma umanitario vissuto da talune popolazioni. La guerra in Siria, come in Afghanistan o in Ucraina, ha stessa valenza al di là di schieramenti, ideologie e religioni. La sofferenza va di pari passo e senza alcun peso specifico. Il suono delle bombe, il dolore delle torture, la perdita della speranza. Sono medesimi esempi che attraversano ogni tipo di confine senza distinzioni di gravità. Dolore e disperazione non si devono classificare.
Parlare di “politiche responsabili solidali e responsabili degli stati” diverrà lecito nel momento in cui l’uomo, donna e bambino ci appariranno come tali, senza considerazioni e distinzioni etniche o di altro tipo, adoperando ogni mezzo per far sì che nessuna vita vada persa in mare nel segno di un’atroce ideologia.
Un fatto di convenienza
Sulla spiaggia del naufragio ci sono alcuni giochi. Molte delle vittime erano minori, alcuni dei quali partiti senza genitori. Sappiamo che un viaggio del genere arriva a costare migliaia di euro, in base al luogo di partenza; il sacrificio dei genitori trasmuta l’abbandono degli stessi in speranza per i figli.
«La disperazione non giustifica viaggi che mettono in pericolo i figli», dice il ministro dell’interno Piantedosi, attraverso un’escalation di dichiarazioni enunciate dall’alto di un piedistallo ben lontano dai contesti di vita contornata da drammi bellici.

Appellandosi in continuazione ai dogmi cristiani a difesa di qualsivoglia forma conservatrice, nella realtà dei fatti la Destra non riesce allo stesso modo ad abbracciare il più cattolico e trasversale degli insegnamenti: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”.
La religione viene così trasformata in mero fatto di convenienza, materializzando a strumento un credo oramai appellabile a proprio piacimento.
E’ inaccettabile ogni forma di speculazione sulla vita delle persone, lasciate affogare per scelta politica. Potevano salvarli e non l’hanno voluto fare. Questa è la realtà dei fatti. Questa è la linea di un Governo che non ha mai nascosto le proprie volontà.
Ascoltare le grida provenienti dal barcone (raccolte da un video pubblicato su Rai News, assieme alle testimonianze dei pescatori presenti) è necessario. Erano solo persone in cerca di speranza, e questa gli è stata negata a priori. Si è scelto di andare in completo contrasto con la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, facendo di tutto affinchè essi non potessero vivere.
“Nessuno mette i suoi figli su una barca a meno che l’acqua non sia più sicura della terra.
Warsan Shire

Commenti
Bellissimo e toccante articolo
Come sempre grande mattia bravissimo
Doveroso e molto bello, chiaro e senza retorica.
Bravo Mattia