La prima volta che ho sentito il canto del muezzin è stato in Marocco nel 2017.
Piazza Jemaa el-Fna, centro nevralgico della vita di Marrakesh, risuonava del richiamo alla preghiera nelle consuete cinque volte al giorno, ognuna delle quali suscitava lo stupore di noi cristiani, divisi in modo dicotomico tra laici/soldati di Cristo, abituati ai semplici rintocchi delle paesane campane domenicali. Era il primo incontro con un paese a cultura islamica, caratteristico per gli abitanti dediti alla vendita e contrattazione della merceria più varia con invadente furore tale da sfiorarne l’ossessione.
Attraverso connotati architettonici non propriamente dissimili fra loro ed una distribuzione assai poco lineare, Amman si estende lungo i fianchi dei sette colli che ospitano la quasi metà della popolazione giordana, a tal punto che il lavoro dei talacimanni si propaga con tale forza ed intensità che dall’alto della Cittadella la loro voce pare per un attimo scendere direttamente dal cielo; chi può risponde prontamente al richiamo, attraverso il filo comune chiamato “fede” che prevarica ogni origine ed etnia.
Osservando il frenetico vivere della capitale, il classismo entro il quale vengo collocato nel genere ”turista” è repentino sia per carnagione che per indumenti, ponendomi immediatamente nella scomoda posizione di essere ambito da chiunque capiti a tiro, sia questo il più comune dei tassisti o il pasticciere di una tipica bakery davanti al celebre Teatro Romano.
Ogni movimento, sguardo, cenno e sussurro è accompagnato da un tiro di sigaretta, elemento che da queste parti pare sia indispensabile più dell’ossigeno stesso, con funzione di elemento catartico nei confronti di un proibizionismo religioso verso molti dei più comuni vizi occidentali.
Perché il turismo?
Oltre alla religione, collante dell’intera nazione, i giordani hanno inglobato nel loro vivere l’importanza che il turismo può avere nella svolta economica del paese. Se tale concetto può apparire così familiare alle orecchie di noi abitanti del Bel Paese, nel caso della Giordania questa opportunità si è dimostrata estremamente redditizia sia per la componente storica che quella naturalistica che la contraddistinguono, ma soprattutto necessaria per l’assenza pressoché totale del settore primario e secondario.
Parlare di collante potrà sembrare eccessivo, ma percorrendo l’intero territorio traspare un totale senso di devozione nei confronti del turista, visibile per gentilezza e rispetto mostrati dal ristorante della più conosciuta Wadi Musa a Petra fino alla periferica “rosticceria” ai confini col deserto saudita di Al-Qatrana.
Consapevoli dei loro mezzi e possibilità, la politica attuata negli ultimi anni ha permesso di elevare la Giordania a punta di diamante del turismo mediorientale, facendo presa morale a carattere nazionale; non stupisce, quindi, che dal basso del Mar Morto all’alto degli Uidian (letti di torrente a carattere non perenne tali da formare canyon) l’occidentale sia visto nella medesima maniera.
A parlare dei giordani come emblema totale di popolazione virtuosa si potrebbe cadere nel pressappochismo mescolato a finto buonismo. Lungi dalla volontà di descrivere questa come la Terra Promessa, quello a cui tengo sottolineare è la percezione personale di atteggiamenti a tutela di coloro che debbano entrare nel paese per motivi legati a lavoro, turismo o altre necessità.
La protesta di Ma’an
Seppur sicura tanto da esser designata come meta turistica di riferimento, la Giordania non è incolume da accese forme di protesta tendenti a sfociare in degenero e violenza, come la più recente (di pochi giorni fa) avvenuta con i manifestanti scesi in strada a protestare in aperta opposizione al caro carburanti, portando all’uccisione del vicedirettore della Polizia del governatorato di Ma’an, a sud di Amman, assieme a numerosi feriti. Bloccato Internet in tutto il paese prima, e solamente sulla provincia in seguito, lo Stato ha attuato forme di contro-protesta per più di 24h.
Solamente a cena, rubando con gli occhi qualche immagine dal telegiornale trasmesso in fondo la sala mentre una coppia raccontava quanto visto in prima persona, si è reso evidente quanto stava accadendo.
Ritrovarsi a migliaia di chilometri da casa con lo spettro di una nuova Primavera Araba, senza possibilità di comunicare e con il sentore che alla minima scintilla la situazione avrebbe potuto degenerare, non figurava come la migliore delle situazioni nella quale capitare.
In questo clima di scontri ed animi infuocati – si andava da un estremo all’altro, qualcuno minimizzava la vicenda mentre altri gridavano alla rivoluzione – il pensiero comune è stato quello di tutelare i viaggiatori, garantendo sicuri corridoi di passaggio dal nord al sud del paese. Convogli militari presidiavano le strade e scortavano chi era di passaggio mentre gli abitanti del luogo aiutavano come meglio potevano (i pochi hotel e negozi con ancora una connessione internet mettevano a disposizione il Wi-Fi per comunicare a casa).

Progressismo
Nel contesto di scontri e proteste, il nostro status è divenuto indirettamente il criterio essenziale da proteggere e preservare, oltrepassando il bisogno di un popolo di far sentire la propria voce su questioni interne di un certo rilievo.
Dai turisti ai lavoratori, lo straniero non viene trattato alla stregua di una scocciatura o respinto a prescindere, tra diletto (nei primi) e le necessità lavorative (nei secondi) non vi è differenza, ciò che prevale è l’aspetto umano tradotto nei termini di empatia e accoglienza.
L’omogeneità di pensiero e devozione per la causa deriva dalla consapevolezza del popolo di avere fra le proprie mani il futuro della Giordania, una comunione di intenti confluita a pensiero progressista applicato su larga scala.
Rimane lecito chiedersi se tali atteggiamenti non possano derivare dal semplice calcolo di ritorni personali ed economici. Nel mio personale, troppo spesso capita di calcolare freddamente se ad una certa azione corrisponderà una determinata reazione, soppesandone la convenienza fino a ritrovarmi inviluppato nel materialismo più spicciolo; là, a quattromila chilometri di distanza, un sorriso ed una parola di ringraziamento per due calici regalati o per un thè riproposto a seguito di ordine sbagliato sembrano avere un peso differente al quale non sono abituato. E gli occhi, si sa, non mentono mai.
Deriva mediorientale
Gli investimenti impiegati negli anni per incentivare il turismo restano tangibili dal punto di vista dei servizi offerti nei principali siti di interesse del paese. Petra, Amman e Madaba hanno sfruttato i substrati secolari già presenti ammodernando aspetti e luoghi a contorno delle opere storiche; l’area del Mar Morto ha, invece, intrapreso la strada del luxury creando una serie di immobili a 5 stelle in totale antitesi col panorama circostante. Miseria e povertà sono i veri abitanti di un luogo brullo e spoglio, nel quale non è infrequente incontrare bambini intenti a giocare col pallone a piedi nudi in un campo fatto interamente da pietre e sabbia, esattamente a pochi chilometri di distanza dalle lussuose SPA.

Questo è il diktat messo in campo dal sistema: per godere dell’unicità del luogo è necessario abbandonarsi fra le braccia di quella che è una delle distorte espressioni del capitalismo. Usufruire di tali servizi è un esercizio di introspezione: chi riesce a farne uso ed uscirne a cuor leggero, probabilmente non brilla per etica e morale.
Deriva mediterranea
Se in Italia è improbabile che possa verificarsi un simile contrasto tra servizi ed ambiente, allo stesso tempo è divenuta prassi comune che diffidenza e disumanità vengano riservati a coloro che si affidano allo ”stivale” come meta turistica per antonomasia.
Questi atteggiamenti e convinzioni si ritrovano a livello microscopico in chi tratta il turista come un peso da accollarsi, come si osserva negli sguardi lanciati ad uno straniero che entra per un semplice caffè in un qualsiasi bar della penisola, oppure ai commenti riservati allo stesso nel caso osasse proferir parola su una pietanza che non era di gradimento.
I due esempi, per quanto semplici, appaiono esaustivi per comprendere i pensieri anacronistici di buona parte dei nostri conterranei, da sempre in difficoltà se alle prese col “diverso”. Abitanti di un paese che, seppur occidentale per luogo, agisce secondo convinzioni radicate a modi ed usanze anti-progressiste che lo qualificano in quanto tale.
Siamo forse nell’età contemporanea per mezzi, ma certamente nel Medioevo per comportamenti.