Life on Moz

Emigrazione transfrontaliera nell’epoca post-colonialista: il racconto di Chilungo.

Se vi capitasse di girare lungo le strade del quartiere Polana Cimento “A” di Maputo, probabilmente il vostro sguardo cadrebbe subito sul ventaglio di ambasciate topograficamente dominanti poste una di seguito all’altra come una serie di sculture all’aria aperta che, con le loro forme e dimensioni più disparate a simboleggiare l’essenza stessa del Paese rappresentante, fanno degli isolati il loro spettabile piedistallo.

Se vi capitasse di camminare per strada notereste facilmente come l’architettura del posto abbia risentito dell’influsso colonialistico che dominò il Paese fino agli anni ‘70 e, sebbene non sia infrequente incontrare per strada un discreto numero di pavoni presidenziali che soventi si preparano ad esibirsi nel loro paupulare con l’arrivo dell’imbrunire, la sensazione che si prova è quella di essere sperduti in qualche strana parte del vecchio continente.

Se vi capitasse di trovarvi a Praça da Independência, nel cosiddetto centro storico, vi trovereste di fronte alla Camara Municipal, sfavillante agli occhi in una mattina di metà Agosto con ai piedi i festeggiamenti in onore dell’atleta Tiago Munxanga per l’argento nella boxe ai giochi del Commonwealth 2022 (il Mozambico fu il primo paese non facente parte delle ex colonie britanniche ad entrarvi nel 1995).

Proseguendo lungo Avenida Samora Machel, in direzione del Mercado Central, una serie di attività commerciali appaiono ai lati della strada, molte delle quali caratterizzate da interni fatiscenti con annessa vendita di prodotti appartenenti a categorie in totale contrasto fra di loro (come nel caso di un abito da nozze adiacente ad un carretto di banane, non esattamente il più classico degli atelier), strutture di fortuna atte al commercio di SIM telefoniche, panifici dalle dubbie qualità igienico-sanitarie e un’urbanistica che nel complesso generale lascia molto a desiderare, considerando che stiamo parlando della città più grande ed importante del Paese.

Il Paese ha beneficiato di una serie notevole di investimenti stranieri in termini di trasporti, strutture e decoro urbano (Nova Lectio – podcast – spiega in modo dettagliato come il Mozambico stia subendo un neo-colonialismo energetico) e ciò è dimostrato dalla costruzione del mastodontico ponte Katembe, dall’introduzione di linee bus capaci di collegare Maputo alle città del nord e dalla costruzione di un adeguato manto stradale, esempi che rappresentano una milionesima parte delle necessità dell’intero Paese, a partire anche e soprattutto dal centro storico.

 Oltre ai chapa, i minibus che collegano letteralmente il paese da nord a sud, queste apecar                     contribuiscono agli spostamenti interni della città.

Il Mozambico rimane uno dei paesi più poveri dell’Africa (come riportato dagli ultimi Indici di Sviluppo Umano stilati dalle Nazioni Unite HDI) e ciò si evidenzia al di fuori del contesto descritto dove terratetti e grattacieli scompaiono per lasciare posto a capanne e baracche, ogni traccia di asfalto sparisce per rimanere con solo la millenaria terra rossa, non si hanno più negozi, ma solo schiere di uomini, donne e bambini desiderosi di vendere quel poco di merce che hanno pur di ottenere qualche Metical.

Il racconto

Chilungo è un ragazzo mozambicano, ha 28 anni e vive a Vilankulo, un centro abitato situato nella provincia di Inhambane nel centro-sud del Mozambico, un luogo caratterizzato da poche città e molti villaggi, dove l’elettricità non è un bene comune e per avere acqua potabile è necessario ancora oggi trovare un pozzo che solitamente dista molti chilometri dal centro abitato.

Se abitasse nella Guyana francese, sarebbe lecito pensare che Chilungo possa avere un qualche tipo di parentela con Mike Peterson Maignan, non solo per la notevole somiglianza facciale, ma anche per la medesima prestanza fisica che li contraddistingue, ma se uno fa del calcio lo strumento di vita quale portiere del Milan e della nazionale francese, l’altro si affida al turismo marittimo dell’arcipelago del Bazaruto come ancora di salvezza.

Nato nell’isola di Benguerra, quarto di sette figli (esempio che rispecchia le statistiche che descrivono una media di cinque figli per ogni famiglia mozambicana), racconta di aver interrotto gli studi per iniziare a lavorare nel settore ittico in quanto principale fonte di reddito del luogo; dopo pochi anni scelse però di lasciare tutto in cerca di prospettive migliori e di emigrare a Cape Town, in Sudafrica.

E’ necessario sottolineare come prima del colonialismo il fenomeno dell’emigrazione transfrontaliera era considerato normale in quanto legato alla caccia o all’apertura di nuove rotte commerciali, ma al giorno d’oggi non sono infrequenti i casi di uomini e donne che lasciano il paese con lo scopo di aumentare il reddito familiare con l’invio di rimesse in forma di beni di consumo o semplicemente di contanti.

A Cape Town, Chilungo narra di essersi guadagnato da vivere alternando la professione di cameriere a quella di lavapiatti per alcuni anni calandosi nella realtà del luogo profondamente diversa da quella di origine, cercando di evitare i noti giri malavitosi che prevalgono nella città e che solitamente mirano a tirare all’interno delle organizzazioni il maggior numero di ragazzi immigrati.

Facendosi scuro in volto, tra le varie difficoltà incontrate, racconta di essere stato vittima di razzismo da parte di gang sudafricane, una situazione che si è resa via via sempre più insostenibile e culminata infine con aggressioni, rapine e minacce di morte; nel tentativo di recuperare i documenti rubati fu pestato dagli stessi e lasciato esanime a terra, un episodio che, spiega, fu vissuto come “il momento più difficile mai provato” dal quale capì che quello non era il posto nel quale sarebbe voluto rimanere, decidendo così di mollare tutto e tornare a casa.

Oggi Chilungo vive facendo da turist operator sulla spiaggia di Vilankulo, una di quelle che solitamente vediamo nelle cartoline o come immagini di atolli lontani; ha un caratteristico dhow in legno con il quale offre escursioni nel più tipico stile mozambicano.

Osservare lui assieme ad alcuni suoi coetanei destreggiarsi in mare, statuari ma non esenti dagli effetti del corso della natura nelle forme più disparate, riporta con la mente a quella che è la rappresentazione universale dell’esistenza umana; ricalcando il Santiago di Hemingway, Chilungo non se la prende mai con l’oceano come come cagione delle sue sventure ma, anzi, entra in profonda connessione con l’ambiente che lo circonda, scruta il cielo e forse pensa che “la vita degli uccelli è più dura della nostra”.

Ha lo sguardo disteso mentre guarda Benguerra; la sua vita, spiega, lo fa stare bene anche se diversa rispetto a quello che si immaginava quando partì per il Sud Africa. Ha appena finito di costruire la casa dove vive insieme alla sorella, mantenendo vivi i rapporti con la famiglia ancora stanziante nell’isola di origine.

Sorride mentre ci racconta che sogna di fare il deejay.

“Sailors fighting in the dance hall.”

David Bowie – Life on Mars? (1971)

Commenti

  1. Lucia

    Ciao, leggendo mi sono immaginata quel luogo e con la mente mi è parso di sentire odori e suoni del luogo.
    Bravo scritto molto bene

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