Nel tempio dei ricordi che ogni casa cela in sé viene da chiedersi quale sia il ruolo degli elementi al suo interno, decine di oggetti a formare il mosaico di un vissuto non sempre di immediata comprensione. Quadri, manufatti, fotografie si legano alle persone e allo spazio circostante, entrando nel dualismo soggetto/oggetto della platea domestica; è l’unione della persona con l’oggetto a rendere quest’ultimo unico, nel segno di un’affettività che diviene parte di un tutto tale da trasformare quattro semplici mura nel museo della propria e personale storia.
Forse è per questo che entrando nelle case altrui rimaniamo così affascinati da tutto ciò che trasmette ricordi di una vita, trovandoci a girare tra foto e suppellettili in cerca delle storie che vi si nascondono.
Quando varcai l’ingresso dell’appartamento di Filippo e Lucia la sensazione di fuga dalla realtà fu immediata quanto sconvolgente. Ci si potrebbe perdere nel mirare il tempio da loro costruito in quasi vent’anni di matrimonio, navigando tra le stanze dove ogni oggetto sembra essere stato concepito per ricoprire quel posto nel mondo. Un’abitazione come specchio delle loro anime. Fra le foto sparse nelle pareti compare spesso Pietro, sguardo di mamma e sorriso di babbo, oltre che ai genitori, fratelli e sorelle dei due. Fra tutti è la presenza di Enzo, padre di Filippo, che prevale fra le altre, come se in quel quel luogo avesse lasciato un segno indelebile. Filippo racconta di aver abitato lì assieme ai genitori, in compagnia del fratello e della sorella fino a rimanere lui soltanto dopo la loro uscita dal nucleo familiare, sobbarcandosi l’onere di ultimo rimasto quale figlio ancora adolescente.
Ai fatti di un passato lontano, continua, vivere con Enzo è stato complicato. Da bambino, Filippo lo vedeva indossare un’armatura emotiva che mai si sarebbe sfilato, sopportando il peso della stessa in nome di una paura maggiore riversata nella realtà che lo circondava; questa complessità lo ha accompagnato nel corso degli anni, fissandosi nella mente l’immagine di un padre che mai si abbandonò ad un singolo gesto d’affetto nei suoi confronti. Enzo pareva trasportato in un secolo a cui non apparteneva, radicato in pensieri ed atteggiamenti ottocenteschi, dove ordini e imposizioni divenivano l’unico mezzo di comunicazione con ciascuno dei familiari. Era formato da un granitico blocco di ideologie sociali utili solo a creare barriere protettive dal mondo esterno, di cui sembrava aver bisogno vestendo quell’armatura oramai divenuta sua vera pelle.
Filippo indica la sedia dal lato del capotavola, vicino alla finestra. Mangiava sempre là, fa vedere, con sua madre accanto in modo che fosse la più vicina alla cucina. Racconta di come lei fosse stata da sempre la colonna portante della famiglia, come se le appartenesse una sorta di immutabilità al trascorrere del tempo, come se l’ineluttabile processo di invecchiamento fosse per lei solo una remota e lontana possibilità. Per anni sua madre si prodigò nel mantenere l’ordine nell’universo della sua vita, fluttuante tra la casa, il lavoro, i figli e naturalmente Enzo, il cui orgoglio lo portava a ferirla spesso nel profondo. Filippo lo capì bene un giorno di fine Aprile. La madre, di professione cuoca, fu riportata a casa da un collega dopo averla accompagnata al Pronto Soccorso a seguito di un incidente a lavoro. Enzo stava annaffiando le piante sul terrazzo quando la vide arrivare e scendere dalla macchina di quell’uomo, con le vesti sporche di sangue, mentre si reggeva il braccio appena medicato. Persino Filippo, ragazzino com’era, comprese che era successo qualcosa di grave e corse fuori verso di lei. Enzo non lo fece, continuando ad annaffiare come se nulla fosse. Finì il suo lavoro e proseguì nei suoi interessi mentre i figli aiutavamo la madre a sistemarsi. Non le parlò per molti giorni.
Guardando una foto della madre al mare, Filippo sottolinea come la sua statura non rispecchiasse la monumentale energia celata dentro di lei. Forse fu proprio per questa forza manifestata negli anni che la diagnosi improvvisa di tumore alla mammella lasciò tutti nel limbo del disorientamento e dello sconforto. Si udirono le crepe alle fondamenta della famiglia, che solo sua madre aveva saputo evitare fino ad allora. Senza che potessero realizzare quanto stava accadendo si ritrovarono così di fianco a lei, stesa su un letto col respiro sempre più leggero e gli occhi chiusi nell’analgesica quiete che accompagna il passaggio dell’anima verso chissà dove.
Fu qua che la corazza di Enzo mutò in durezza divenendo impenetrabile al mondo esterno, chiudendosi nell’elaborazione di un lutto di cui non proferì parola. Serrato dentro di sé, per due anni si estraniò da tutto. Filippo era poco più che maggiorenne, suo fratello e sua sorella già erano andati via di casa; rimasero loro due, l’uno sconosciuto all’altro.
Passarono molti mesi prima di vedere qualche segno di ripresa. Enzo iniziò ad uscire con più regolarità, passando poi ad confrontarsi con quei ruoli casalinghi appartenuti prima alla moglie, e ricoperti fino a quel momento dai figli. Filippo, fatto uomo, si trovò a lasciarlo nella solitudine totale dopo che egli stesso se ne andò a convivere con la sua ragazza del tempo. Tornava spesso a casa, parlavano sempre poco.
Agli inizi degli anni duemila, la relazione di Filippo crollò bruscamente; moralmente distrutto, decise di tornare a vivere per qualche tempo con Enzo. Abituato com’era a condividere con lui spazi e tempi per brevi lassi di tempo, ci vollero mesi prima di trovare un equilibrio che permettesse una civile convivenza.
Quando ciò avvenne, Filippo conobbe Lucia.
L’amore che derivò dal loro incontro portò ben presto all’idea di convivenza, pensando nel giro di poco tempo al matrimonio. Avrebbero potuto prendere un’altra casa per conto loro, costruendosi una famiglia come desideravano, ma Filippo ammette di non averlo fatto sul ricordo delle parole della madre durante la malattia, come forma di richiesta ultima per lui soltanto:
«Non lasciare Enzo da solo.»
E’ una marea di ricordi e dolori che affiorano senza sosta, tanto da interrompere Filippo diverse volte per affrontare l’inevitabile nodo alla gola da sensazioni, pensieri e immagini latenti.
Girando per casa si ferma spesso, c’è un aneddoto per ogni punto di essa; vita che torna alla mente. Spiega che l’appartamento non è sempre stato così, la struttura precedente faceva in modo che ci fossero due appartamenti in uno; in questo modo lui e Lucia avevano mantenuto la privacy di cui necessitavano. I primi anni furono difficili, Enzo non era abituato alla parità di genere e mal sopportava la libertà di Lucia: il fatto che potesse uscire la sera con le amiche lo adirava, e più i mesi passavano e più questa estraneità cresceva alimentando tensioni all’interno della casa. Se oggi è qua a parlarne lo deve in gran parte alla capacità di sopportazione di Lucia, che in quel periodo fu per sua definizione indescrivibile.
«Nella quotidiana e continua scoperta dell’altro, la monolitica volontà di mia moglie continua a
sorprendermi anno dopo anno.»
Col tempo la famiglia iniziò a prendere forma. Gli scontri divennero diverbi, gli spigoli e le scanalature degli sguardi si smussarono lasciando il posto a neutre rughe, l’astio si trasformò in tolleranza fino a giungere alla comprensione.
L’arrivo di Pietro portò con sé quella serenità che nessuno si sarebbe immaginato; Enzo beneficiava della sua presenza, come se con lui tornasse indietro nel tempo, sebbene gli atteggiamenti e le gestualità fossero mutate da come Filippo ricordava avesse cresciuto lui stesso e i fratelli. Era divenuto nonno già da molti anni, ma un nipote cresciuto in casa propria non gli era mai accaduto. Stava cambiando.
La terrazza dell’appartamento si staglia per due intere facciate dell’edificio. Filippo ricorda il tragitto che Enzo era solito percorrere in casa tenendo Pietro per mano, aiutandolo a trovare il giusto equilibrio nei suoi primi passi, col piccolo che reggendosi all’inferriata della terrazza scrutava il mondo esterno. Quello stesso percorso avrebbe aiutato Enzo stesso anni dopo nel riprendere a camminare dopo un lungo ricovero in ospedale. Filippo era in vacanza con Lucia e Pietro in Grecia, quando la sorella lo chiamò per una febbre che logorava il padre da qualche giorno. Passò un mese all’ospedale per poi rientrare trasformato, come se fosse invecchiato di venti anni in battito di ciglia.
Filippo si prese del tempo per capire quanto dello stato fisico perduto fosse recuperabile, e quali conseguenze avrebbe avuto questo status sulla famiglia e in particolare su Enzo stesso. Temeva che questa dipendenza forzata potesse portare suo padre alla non accettazione della condizione in cui si trovava, ma quel che accadde sorprese soprattutto per la totale coscienza del padre nei confronti della propria situazione, portandolo ad affidarsi completamente a Filippo e Lucia. Si fidava di loro e dei pochi altri che li aiutavano nella gestione della casa, ma non per questo limitò le loro vite, arricchendole invece sotto molti punti di vista. Per quanto la sua indipendenza fosse venuta meno, il suo bisogno di aiuto era un ruscello confluente nel fiume della volontà del figlio e della nuora di stargli accanto. Filippo ricorda come lo sguardo di Enzo fosse cambiato al pari del loro, e come con occhi nuovi abbiano vissuto quei giorni con l’entusiasmo e la curiosità di chi si vuole scoprire. Enzo si era trovato vulnerabile al mondo, ma
non per questo in pericolo, sentendosi protetto dalle persone della sua vita. Gli ci erano voluti vent’anni per capire la sua famiglia, vent’anni litigi, insulti ed incomprensioni, vent’anni di amore all’apparenza respinto, ma in verità forse solo messo da parte.
Camera di Enzo oggi non esiste più. Ci sono scatoloni e molto altro; ancora non gli è stata trovata una nuova funzione, forse per bisogno forse per un legame non ancora del tutto spezzato. Filippo ricorda quegli ultimi sei mesi di Enzo nitidi e distinti fra migliaia di ricordi che ha di suo padre. Sembra quasi un ricordo unico al quale si aggrappa spesso, chiedendosi se sarebbe stato possibile sbloccare quel suo lato nascosto forse prima, in condizioni meno complesse e problematiche. Sebbene caratterizzati da sofferenze e difficoltà, quei sei mesi hanno permesso di vedere il lato che nessuno in famiglia avrebbe mai sospettato che Enzo possedesse. Sente di aver dato qualità al tempo, ripagato a distanza con l’immagine di un padre mostratosi sul finir della vita.
Dal giorno della morte di Enzo sono stati apportati molti cambiamenti alla casa, trasformando gran parte di quello che era l’appartamento del padre nell’ampliamento dell’attiguo. Per Filippo è la conclusione di un percorso del quale rimangono i segni, alcuni lampanti e altri ben nascosti; al visibile si contrappone ciò che non lo è. Ci sono persone divenute inquilini di un luogo dove l’essere umano è oggetto del tempo al pari di un quadro, una foto o qualsiasi tipo di suppellettile. Ciò che permane nel tempio è la memoria, la vita di ogni individuo che abita un luogo. Il vero soggetto delle storie che andiamo cercando tra stanza e stanza. E la qualità del lascito è solo nelle nostre mani.
Commenti
Gentile Mattia, ho letto il suo articolo “ nascita di un padre”. Desidero esprimerle il mio rammarico ed il mio disagio per quanto ha scritto su mio padre. Dettagliare episodi ,decontestualizzati dal tempo, mettendo in evidenza solo il dettaglio difettoso ,percepito da due figli dei tre , di una complessità relativa alla vita di un uomo, all’epoca in cui è’ vissuto, all’educazione che quell’uomo ha ricevuto , ai limiti umani di quel padre, sempre negati a se stesso, ed omettere invece tratti di pulita e onesta umanità, senza un contraddittorio, senza aver avuto la necessità di sentire anche la terza figlia , mi ha fatto soffrire . La sofferenza che sento nasce da tanti elementi; quelli che la riguardano sono riconducibili al bisogno di un narratore di affidare contenuti intimi, interiori , propri e suoi ( del narrato) , a chi dimostra di non essere un professionista; , posso capire chi , per emotività, bisogno relazionale, fragilità , solitudine, provocazione, dolore , egocentrismo, concede la propria ed altrui segretezza al primo che capita ; non comprendo invece il Suo bisogno, Mattia , il Suo bisogno di serio professionista. Seppur raccolti i contenuti dettagliati della vita di mio padre potevano essere “ celati” con discrezione, e con la stessa discrezionalità potevano essere condivisi anche con la terza figlia. Mio padre era un uomo buono, generoso, sensibile e molto insicuro… caratteristica quest’ultima che lo ha reso “imperativo” nelle circostanze che egli percepiva come minacciose ,per se e per la sua famiglia…. Valore, quello della famiglia, indiscutibile per lui per la sua intera vita. Pensi che non ha mai, mai reso noto a chicchessia un difetto dei suoi figlino di sua moglie, mai. Mio padre amava profondamente mia madre tanto da vederla in ogni forma femminile, compresa la forma della moglie di mio fratello senza mai dirlo. Al suo funerale ho conosciuto persone , tante, che sono venute a salutarlo per la sua generosa vita … ognuno con un aneddoto di autentica affettuosità ricevuta. Dopo la morte di mia madre ho vissuto con lui e la mia famiglia per due anni e soltanto dopo la sua morte ho preso atto di quanto lui non fosse mai stato capito neanche da me; solo da mia madre. Una sensibilità molto marcata , mai celata.Somiglio molto a mio padre e ne sono proprio contenta. Mio padre per me è’ sempre stato un padre anche quando non lo capivo e lo criticavo. Si poteva scrivere di lui in altro modo e con altri scopi. Un professionista serio scrive dettagli intimi e personali solo e se autorizzato dalla stessa persona, altrimenti lo fa senza caratterizzare la narrazione con tratti di riconoscimento. Qual è’ stato lo scopo? Perché? Si può assistere con amore il proprio padre “ cattivo” senza ostentazione e con pace interiore. Qual è’ stato il suo scopo Mattia? E quale lo scopo più generale ? Chi narra può essere catturato da emotività e risentimento, ma chi riporta dovrebbe non avere necessità di sottolineare ciò che l’interessato non potrà smentire mai , perché morto. Mio padre non sarebbe contento di leggere questa narrazione, neanche mia Santa madre lo sarebbe,e neanche io . Sia gentile, lo tolga e faccia in modo che non sia leggibile in altri spazi . Abbia rispetto di quel padre buono e di una sua figlia. Grazie
del Post
Gentile Marcella,
comprendo che possa non essere d’accordo con quanto narrato, ma l’obiettivo non è mai stato quello di raccontare la persona quanto un legame ben specifico tra padre e figlio.
A parer mio dal testo non trapela alcun segno di risentimento, apparendo genuino e chiaro nella sua lettura; ciascuno è libero di trarre insegnamenti e riflessioni in base al personale status emotivo, elemento peculiare della lettura oramai da secoli.
Non toglierò l’articolo in nome della libertà d’espressione, sostenendo che tale narrazione possa essere di beneficio sotto molte sfumature.
La ringrazio per lo scambio di vedute.
Mattia
Gentile Mattia, non avevo aspettative di comprensione da parte sua, io desideravo solo che fosse rispettata la privacy di mio padre. Il rispetto di chi non c’è più e del quale di dettagliano episodi intimi e personali. Non è’ una questione di conflitto eventuale a determinare non rispetto dell’altro, ma rendere pubblico ciò che non lo dovrebbe essere. Nella mia vita ho sempre apprezzato le differenze e le vivo come un valore aggiunto e mi batto da sempre per la libertà di espressione, ma quanto lei scrive non ha a che fare con la libertà di espressione lei ha violato la privacy e potrei dimostrarlo. Non lo farò perché non sono arrogante quanto sembra esserli lei. La ringrazio comunque